Tappa del mio viaggio nella cooperazione con la Cooperativa CSDA
Ogni viaggio ha delle tappe che restano.
Non solo perché ti hanno mostrato qualcosa di interessante, ma perché ti hanno toccato dentro. Luoghi in cui, per qualche motivo, senti che qualcosa si è spostato: dentro di te, nel tuo modo di guardare il mondo, nel tuo modo di raccontarlo.
Una di queste tappe, nel mio viaggio nella cooperazione, è stata l’incontro con Fabrizio Piazza, presidente della Cooperativa Sociale CSDA, e con il progetto CASASAC, nella piccola ma significativa comunità di Condove, in Piemonte.
Dove tutto ricomincia: il riscatto di un luogo dimenticato
Quando arrivo a Condove, non so esattamente cosa aspettarmi.
So che visiterò un progetto nato in una vecchia bocciofila, uno di quei posti che – chi vive o è cresciuto in un paese – conosce bene. Sono i luoghi dove si ritrovavano le persone, dove il tempo si fermava tra chiacchiere, partite, risate. Luoghi che appartenevano a tutti e a nessuno. E che, col tempo, spesso si sono spenti.
Eppure, quella bocciofila, da qualche mese, è tornata a vivere. E il suo nuovo nome è già un programma: CASASAC.

“Casa”, perché è un posto che accoglie.
“SAC” come acronimo di “Socialità, Autonomia, Comunità”.
Ma anche un palindromo, mi racconta Fabrizio: un nome che si può leggere in avanti e all’indietro, proprio come le due porte d’ingresso che ha questo luogo. Una sulla piazza, l’altra sul retro, completamente accessibile, senza barriere architettoniche. Due ingressi diversi, ma ugualmente dignitosi. Una scelta che non è solo tecnica o urbanistica. È una dichiarazione culturale, umana. Qui si entra tutti, e si entra da pari.
Una caffetteria che sa di comunità
Appena entro, mi accorgo che non sto visitando un semplice bar.
CASASAC è una caffetteria sociale, ma è molto più di questo. È un posto dove si lavora, sì, ma anche dove ci si ferma, si parla, si ascolta. Dove ci si sente parte di qualcosa.
Mi guardo intorno: ci sono tavolini semplici, luci calde, un bancone che profuma di pane, caffè e torta fatta in casa. Ma soprattutto ci sono persone vere, che si salutano con un sorriso, che si conoscono per nome, che si accorgono se oggi non sei passato.

Mi accompagna Fabrizio, con passo lento e sguardo gentile. Non mi presenta “il progetto”, ma le persone. E tra loro, mi racconta la storia di tanti ragazzi e ragazze che, come tanti, hanno dovuto affrontare ostacoli legati a una condizione di fragilità. Ma che, grazie a un percorso di formazione costruito con cura, arrivano qui. E hanno trovato non solo un lavoro, ma un posto nel mondo. Una sveglia al mattino che ha senso. Una divisa. Un sorriso da offrire. Un motivo per restare.
La forza delle piccole cose
Fabrizio non alza mai la voce mentre racconta. Ma in ogni parola c’è una convinzione profonda.
“La nostra forza”, mi dice, “sta nelle relazioni. Noi ci prendiamo cura delle persone, non solo dei servizi”.
E lo capisci davvero guardando il modo in cui parla con chi entra. Il modo in cui chiama per nome ogni ragazzo, ogni signora del quartiere, ogni collaboratore.
Qui si respira la cooperazione vera: quella fatta di prossimità, di ascolto, di tentativi, anche. Perché non è facile. Trovare le risorse, scrivere progetti, tenere insieme i fili, formare e accompagnare.
Ma il risultato è davanti agli occhi: un posto che prima era chiuso e abbandonato, oggi è una piazza viva. Un presidio umano. Uno spazio che genera fiducia.
Più che un progetto: una visione
CASASAC è il frutto di un lavoro collettivo, costruito con pazienza da CSDA, in collaborazione con altri enti del territorio.
Ma sopra ogni cosa, è l’espressione di una visione generativa: quella che la cooperazione può (e deve) essere un motore di rigenerazione urbana e sociale. Che i luoghi pubblici vanno restituiti alle persone. Che il lavoro va costruito per tutti, anche – e soprattutto – per chi ha vissuto l’esclusione.
Fabrizio lo sa bene. E mi confida che ci sono altri spazi da riattivare, altre comunità da ascoltare, altri giovani da accompagnare.
Mi colpisce la sua umiltà. Non c’è retorica, non ci sono parole d’effetto. Ma c’è una determinazione silenziosa che tiene accese le cose. Come la brace sotto la cenere.
Quando la cooperazione ti entra dentro
Mi fermo a lungo prima di andare via. Resto seduto a uno dei tavoli.
Ordino un caffè, e non riesco a non pensare a quanto un gesto semplice come questo, in un posto come questo, abbia un valore enorme.
Perché dentro quel caffè c’è il lavoro di tanti, c’è la cura di Fabrizio, c’è la fiducia della comunità. C’è la cooperazione come la intendo io: non una teoria, ma una pratica quotidiana di umanità.

E mentre saluto, penso che è esattamente questo il motivo per cui ho iniziato il mio viaggio: per ascoltare storie come questa, per raccontare che un altro modo di fare economia – e di fare società – è non solo possibile, ma già in atto.
Grazie Fabrizio. Grazie CSDA.
Con CASASAC ci ricordate che l’innovazione sociale più potente è quella che sa ancora commuovere, che fa spazio alle persone, che restituisce senso ai luoghi.
Alla prossima tappa, con un caffè in più nel cuore.