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Tender. La precisione della cura

A Bari, nel cuore di un quartiere in movimento, una cooperativa sociale lavora con metodo e passione per rispondere ai bisogni delle comunità. L’incontro con Filippo Delvecchio e la scoperta di un modello che unisce efficienza, prossimità e visione.

C’è una parola che ricorre spesso nel mondo della cooperazione, ma che pochi riescono davvero a incarnare: cura. Cura delle persone, delle relazioni, dei dettagli. Cura come responsabilità, come attenzione costante, come forma di rispetto. Cura che non si dice soltanto, ma si fa.

A Bari, in un quartiere che pulsa di contraddizioni e possibilità, ho incontrato una realtà che questa parola la prende sul serio. Si chiama Tender, è una cooperativa sociale, e ha la bellezza discreta di chi lavora bene e in silenzio. Lì ho conosciuto Filippo Delvecchio, presidente, anima concreta e visionaria di questo progetto. Un uomo capace di unire rigore e gentilezza, metodo e passione. Una figura che non cerca riflettori, ma costruisce fiducia, ogni giorno, con la forza dell’esempio.

Filippo non è un presidente da copertina. È uno che ascolta, che osserva, che non ha bisogno di alzare la voce per farsi capire. Quando parla, le parole sono precise, misurate, come i servizi che la sua cooperativa offre: formazione, sicurezza, supporto tecnico alla pubblica amministrazione, gestione documentale, facility, piattaforme digitali. Ma non è questo che mi colpisce. È il modo in cui Filippo racconta tutto questo: con una passione calma, con l’orgoglio di chi sa che la qualità non è un optional, ma una forma di giustizia.

Tender non si limita a offrire servizi: immagina soluzioni. Affianca i Comuni nella complessità dell’amministrazione digitale, accompagna scuole e istituzioni nella gestione dei dati sensibili, forma operatori e dirigenti su temi cruciali come la sicurezza sul lavoro, il trattamento dei dati personali, la transizione digitale. Ma ogni intervento, anche quello più tecnico, nasce da un ascolto profondo del contesto. Ogni progetto è costruito su misura, con l’intelligenza artigianale di chi sa che ogni comunità è diversa, e ogni bisogno merita attenzione vera.

Camminiamo tra gli uffici. C’è chi sta monitorando un edificio scolastico per redigere il fascicolo del fabbricato, chi prepara una sessione formativa per un piccolo Comune, chi scrive una relazione per un bando di prossimità. Tutto funziona con un equilibrio che sembra semplice, ma che è frutto di metodo, fiducia e collaborazione.

Filippo mi dice:

“Noi non ci limitiamo a rispondere a una richiesta. Cerchiamo di intuire cosa serve, anche quando non viene detto. Questo, per me, è fare cooperazione.”

Una frase che mi resta dentro. Perché dice molto di un modo di lavorare che oggi appare quasi rivoluzionario: unire competenza e visione, concretezza e sensibilità. Fare le cose bene, senza fare rumore.

Tender è un ponte tra mondi che spesso non si parlano: quello sociale e quello amministrativo, quello dell’efficienza e quello della prossimità. Unisce linguaggi diversi e li mette a servizio della comunità. Traduce la complessità in soluzioni operative. E lo fa con una professionalità che non tradisce mai la sua anima sociale.

Filippo non parla mai di “utente”. Parla di persone. Di storie. Di situazioni che vanno comprese prima di essere gestite. Ogni dossier, ogni progetto, ogni foglio Excel che passa da qui è in realtà un pezzo di vita che qualcuno ha deciso di affidare. E questo, mi dice, impone rispetto.

Il team di Tender è preparato e motivato. Non c’è improvvisazione, ma formazione continua. Non c’è distanza, ma responsabilità condivisa. La cooperativa cresce, sperimenta, partecipa, propone. Costruisce reti, si mette in gioco. E quando sbaglia, si ferma e riparte. Con umiltà e rigore.

Mi raccontano dei progetti fatti nelle scuole, del supporto alle famiglie nei percorsi educativi, delle consulenze per enti pubblici che hanno finalmente trovato un partner affidabile, capace di tenere insieme norma e contesto, adempimento e impatto sociale.

Mi colpisce una cosa: qui non si parla mai solo di “cosa fare”, ma sempre anche di “come farlo” e soprattutto “perché farlo”. Ed è lì che si gioca la differenza tra un servizio qualunque e un intervento che lascia traccia.

Quando vado via, Filippo mi stringe la mano con fermezza. Non serve aggiungere molto. Perché ci sono incontri che non ti lasciano addosso slogan o frasi a effetto, ma una sensazione più profonda: che le cose, se fatte bene, fanno bene.

E oggi, grazie a Tender, lo so un po’ di più anche io.

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